CLAUDIO CAPORASO: L’ALCHIMIA DELLA FORMA E DELL’ESSERE L’arte di Claudio Caporaso si muove su un confine sottile tra materia e spirito, tra gesto scultoreo e riflessione filosofica, trasformando ogni opera in un dispositivo di lettura critica del presente. Il suo linguaggio, radicato nella tradizione della scultura figurativa, si evolve in una narrazione plastica che decostruisce e riformula l’identità dell’essere umano, tra memoria e trasformazione. Caporaso lavora la materia con un approccio che sembra unire l’intento demiurgico dell’antico scultore al disincanto dell’artista contemporaneo. Il legno, la terracotta, il marmo e il bronzo non sono semplicemente mezzi espressivi, ma elementi di una ricerca che scava nella natura stessa della forma e della sua capacità di evocare tensioni emotive e culturali. Il corpo, nelle sue opere, non è mai un’entità statica o celebrativa, bensì una soglia tra la realtà e il simbolo, tra l’introspezione e il mito collettivo. La sua produzione scultorea non si limita a un’esaltazione della forma, ma si configura come una riflessione sullo statuto dell’immagine nella società contemporanea. L’artista riesce a conferire ai suoi soggetti un’intensità che va oltre la rappresentazione, dando vita a figure che sembrano emergere da un tempo sospeso, frammenti di un discorso sulla fragilità e la resilienza. Le anatomie, spesso tese, allungate, talvolta interrotte, evocano il senso di un’esistenza sempre in bilico tra costruzione e disfacimento, tra presenza e assenza. In un’epoca in cui la rapidità della comunicazione tende a svuotare il linguaggio dell’arte del suo valore rituale e meditativo, Caporaso si pone come un argine alla superficialità, riportando l’attenzione sulla potenza dell’oggetto artistico come veicolo di esperienza e conoscenza. La sua scultura non si limita a essere vista, ma impone una relazione fisica ed emotiva, un dialogo silenzioso che si nutre di ombre, di pieni e di vuoti. Se da un lato la sua ricerca affonda le radici in una pratica scultorea profondamente ancorata alla materia, dall’altro si apre a una dimensione simbolica che dialoga con le inquietudini del presente. Il volto umano, spesso elemento centrale del suo lavoro, diventa un palinsesto su cui si inscrivono emozioni contrastanti, una pelle che trattiene le tracce di un vissuto universale.
Curare il lavoro di Claudio Caporaso significa quindi immergersi in un linguaggio che rifugge la mera estetizzazione della forma per restituire all’arte il suo potere primordiale: quello di interrogare, di sospendere il tempo, di creare un ponte tra il passato e il futuro. La sua opera si impone come un atto di resistenza all’omologazione, un’esplorazione incessante delle possibilità espressive della scultura, in cui il gesto artistico si fa strumento di una ricerca esistenziale e politica. Nel suo lavoro, la scultura si trasforma in uno spazio di risonanza per le domande essenziali della condizione umana. È in questo spazio che risiede la sua forza: nella capacità di rendere visibile l’invisibile, di dare corpo a quell’inquietudine sottile che ci attraversa e ci definisce.
Charlotte Madeleine Castelli
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