PROF. GIOVANNI CARDONE


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PROF. GIOVANNI CARDONE

Il Corpo e la forma come Racconto

Il corpo e il mondo che lo ospita, le cose e il corpo che le contiene, sculture ; raro oggi non riconoscere, le impronta troppo forti di percorsi novecenteschi già tracciati e spesso risolti. C’era un tempo nel quale il corpo scolpito restituiva al suo creatore la misura di un rapporto tra il sé, l’altro da sé e la storia di un’arte tutta in divenire.
Claudio Caporaso ha delle riminisce di Marino Marini lo si denota come tratta il corpo che per lui è fodamentale come mezzo di comunicazione. Oggi, la figura ri-creata sembra impotente a rappresentare altro rispetto all’annoiato e decaduto epigono di racconti finiti, o a mutuare forme proprie a linguaggi propri di arti visive contemporanee. Da questo punto di vista, Claudio Caporso è un unicum, un punto esclamativo lanciato nello stagno dell’apatia nella quale pare immersa l’arte. I suoi lavori costituiscono illuminanti chiavi di lettura contemporanee di un soggetto universale nell’arte, perché connaturato all’esistenza, affrontato con una tecnica altrettanto trasversale alla storia. Proviamo a comprenderne le ragioni. Intanto iniziamo col precisare che Claudio Caporoso è un artista molto interessante lo si evidenzia dalle sue opere che rappresentano la donna nella sua pienezza e nella sua fierezza dove il corpo è alla base dell’opera. La evidente formazione si materializza in una misurata consapevolezza del fare, sin dai primi lavori pubblicati, e i riferimenti culturali assumono il peso di basi in commistione tra loro sopra le quali appoggiare le proprie visioni, non sono mai schemi interpretativi preconfezionati. La ricerca in Claudio Caporaso inizia a sostanziarsi di elementi che uniscono tradizione ed innovazione .

Il corpo: è fatto della stessa materia vitale di cui si compone l’universo. Come parte del tutto, è frammento senza volto, senza nome, sottratto all’identità e al tempo che lo hanno prodotto. Il corpo è parte dell’enigma irrisolto che sottende al mistero della vita e che coinvolge parimenti lo spazio che lo compenetra. “Madre Terra” potrebbe essere il nome destinato ad una di queste essenze impersonali sostanziate del colore della terra stessa. Res e humana sono dunque presenze imprescindibili nelle opere
dell’autore, ma in questa riproposizione di molecole di universalità, nulla è concesso al caos disorganizzato: tutto, come in un rebus pronto ad auto-risolversi, ha una precisa ragione di essere in quel luogo, di quel tempo sospeso. Dunque da niente si può prescindere, lo “sfondo” spesso incombe in primo piano, condiziona l’essenza del corpo, pure l’ombra su di esso si fa densa consistenza.
Il complesso tema di forze è leggibile in virtù del delicato equilibrio visuale fra dimensioni, distanze, direzioni, curvature, volumi. Ciascun elemento possiede una forma appropriata in relazione a tutte le altre, fissando così un ordine definitivo nel quale tutte le forze componenti si contengono a vicenda, nessuna di esse può imporre alcun mutamento nell’interrelazione. Il gioco di forze si trova in quiete apparente. Ma il corpo rimane l’elemento propulsivo, vitale, che rompe la permanenza, che è motore di cambiamento; in questo senso, è la chiave di volta di queste composizioni. Il corpo di Caporaso è sintetizzato, generato dall’espressività gestuale ed emozionale di se stesso. Il corpo, dunque, come forma simbolica, richiede una conoscenza che implica volontario avvicinamento, ricerca perseguita, lenta penetrazione: è quella praticata dall’autore, è quella reiterata ad ogni rinnovato sguardo dello spettatore.
Arrivati alla scoperta ci si accorge che quel corpo è parte di un tutto, arrivati al particolare, la visione è dunque la stessa del punto di partenza. Comprendere l’opera, coglierla come totalità, è funzione di una rivelazione, l’immediatezza sospende la dimensione temporale, la visione logica dovrebbe restituirci il motivo di tale rivelazione. L’avvicinamento alla conoscenza necessita di un medium, di un linguaggio interpretativo. L’uomo ha bisogno di regolarità, la impone alla propria visione perché è funzionale, dal punto di vista conoscitivo. Questa rigidità dietro la quale si cela il dis-ordine, ci pone dinnanzi ad un
interrogativo che per ora sembra rimanere irrisolto, ovvero di quale sia il rapporto tra le due tendenze cosmiche, quella volta al disordine meccanico e quella volta all’ordine geometrico. Ma Caporaso riesce sempre con maestria suprema ad imporre all’organizzazione della visione il proprio schema strutturale; allo spettatore è restituito un punto di vista, l’ osservazione è accompagnata. Guardando all’intera produzione di Claudio Caporaso sin qui svolta, colpisce la coerenza della ricerca nelle direzioni sopra dette, anzi i processi paiono chiarirsi e raffinarsi nel tempo. Accanto ad un procedere dalla semplicità alla complessità dello studio, si ha un procedere dalla confusione verso l’ordine nella consapevolezza dell’indagine. Con il tempo, lo sviluppo, la metamorfosi, presenta un moltiplicarsi di parti dissimili, ma anche un accrescimento della precisione con la quale tali parti sono contraddistinte l’una rispetto all’altra; e ciò è più che evidente se confrontiamo la recente produzione, dove l’artista attraverso il suo linguaggio poetico che è la scultura racconta, narra una dea, ovvero una donna che emerge dal suo lungo
torpore. Leggendo il suo progetto ho capito l’animo di un’artista delicato ed immarato dell’arte, egli racconta la donna che non deve essere un “oggetto”, ma una persona come la descrive nelle sue sculture brozee.

Prof.Giovanni Cardone Critico e storico dell’arte, Docente di Storia dell’ Arte Moderna e Contemporanea Facoltà Pontificia di Napoli, Ricercatore – Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli.

 

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